Nel 1994 si tirò dietro le critiche di mezzo mondo scientifico per avere annunciato, con l’entusiasmo dei suoi ventotto anni, di avere ottenuto risultati importanti sulla fusione fredda, l’araba fenice del nucleare. Adesso Fulvio Frisone, il ricercatore catanese spastico dalla nascita al quale la Rai ha dedicato il film televisivo «Il figlio della luna», sta per firmare un accordo con l’Enea di Frascati. Un accordo che gli consentirà di sperimentare per due anni le sue teorie in laboratorio.

Una grande soddisfazione per la madre Lucia, la donna-coraggio che per il figlio ha abbattuto ogni ostacolo, ottenendo per lui un posto di ricercatore all’Università di Catania e l’assistenza continua di angeli custodi che lo accompagnano al lavoro e ai congressi. A dispetto delle cinque scuole che lo rifiutarono da bambino e dei tanti medici che le consigliavano di rassegnarsi a un destino di emarginazione.

Ma un traguardo anche per Salvo Fleres, il presidente della Fondazione Frisone secondo il quale «finora Fulvio ha fatto notizia più per l’handicap che per i risultati delle sue ricerche». Pericolo inevitabile per uno studioso che parla a fatica, scrive sul computer con una stecca attaccata alla testa e che, nonostante questo, pubblica su riviste scientifiche e dibatte con la comunità internazionale dei fisici teorici.

Il protocollo d’intesa è pronto, dodici mesi di lavoro spalmati su due anni, 150 mila euro messi sul piatto dalla Fondazione, che grazie ai finanziamenti della Regione siciliana porta avanti un’attività di ricerca che ha il suo cuore a Melilli, in provincia di Siracusa.

La fusione fredda è la speranza di energia pulita e a basso costo, tornata d’attualità ora che il governo italiano ha riaperto il capitolo nucleare. L’attuale tecnologia utilizzata dalle centrali è basata sulla fissione, cioè sulla separazione di un nucleo di atomo che - bombardato con neutroni o raggi gamma - sprigiona energia, ma anche materiale radioattivo. La nuova sfida, invece, è quella della fusione, reazione che in natura avviene ad altissime temperature come nel sole (procedimento «a caldo» che pone enormi problemi di natura economica e ambientale) e che invece si cerca di riprodurre a temperatura ambiente.

Una scommessa entrata nel vivo nel 1989, quando i due elettrochimici americani Martin Fleishmann e Stanley Pons annunciarono di avere centrato l’obiettivo in laboratorio, e passata da allora sulle montagne russe di polemiche, smentite, nuovi tentativi. Quel presunto successo mancava del presupposto fondamentale della scienza moderna: non era cioè riproducibile. E ancora adesso manca un modello teorico, una formula, una «ricetta». Anche se passi avanti ne sono stati fatti parecchi, con l’Enea tra i gli enti più attivi a livello internazionale.

«Oggi - dice Vittorio Violante, responsabile Enea del progetto di ricerca sullo studio dei fenomeni nucleari nella materia condensata - possiamo dire che non c’è ancora una vera e propria riproducibilità controllata, per esempio non siamo in grado di far partire a comando il fenomeno. Abbiamo però creato i presupposti affinché, entro un determinato tempo, si manifesti con una certa probabilità».

Frisone ha indirizzato la sua ricerca, sin dalla tesi di laurea, proprio sulla fusione fredda, per la quale il materiale d’elezione è un metallo, il palladio. Secondo i suoi calcoli, la probabilità di fusione è amplificata dalle impurità della materia. Teorie, calcoli, numeri, equazioni battute faticosamente a colpi di testa sulla tastiera del computer. E adesso destinate a varcare la soglia di un laboratorio d’eccellenza.
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